Il progetto
Giacomo Matteotti [22 maggio 1885 – Roma, 10 giugno 1924] è stato il segretario del PSU dal 1922 al 1924, prima della presa del potere da parte del regime fascista in Italia. Fu studioso di diritto penale e di pubblica finanza; organizzatore di leghe bracciantili, amministratore e sindaco di alcuni comuni del Polesine, deputato per tre legislature. Apostolo di verità e di ragione, esempio di coraggio morale e fisico, morì il 10 giugno 1924, a 39 anni, per mano di una banda di fascisti per ordine di Benito Mussolini.
Giacomo vuole porre in risalto il discorso politico di Matteotti, mettendo a confronto due dei suoi interventi in Parlamento: quello del 31 gennaio 1921, in cui denuncia le connivenze tra le forze politiche borghesi e le squadracce fasciste, e quello del 30 maggio 1924, l’ultima seduta a cui Matteotti partecipò prima di essere assassinato, in cui contesta i risultati delle elezioni dell’aprile di quell’anno.
Questa tragedia, politica e antispettacolare di Teatro dei Borgia, consiste nella riproposizione delle parole di Matteotti nella loro nuda e terrificante verità. I principali temi sui quali il lavoro invita a riflettere sono il senso della militanza politica, i diritti di cittadinanza, la possibilità di opporsi alla violenza fascista con il richiamo ai valori di libertà e democrazia, ma anche il ruolo del teatro nella società, in un modo in cui gli ideali diventano opera d’arte.
Teatro dei Borgia continua il suo percorso di ricerca sulla relazione tra teatro e reale e tra teatro e politica: con questo lavoro vuole portare la parola politica e i temi della democrazia sul palco usando i verbali d’assemblea quali elementi del reale e sintagmi del proprio discorso poetico.
In scena avanzi di democrazia sui quali si arrampica l’esistenza di Matteotti, conficcata nel suo ruolo politico, come la Winnie dei Giorni Felici di Beckett è conficcata nella sabbia, da cui non può liberarsi e da cui sente il dovere di non liberarsi.
Elena Cotugno e Gianpiero Borgia sviluppano un lavoro sul ruolo lontano dalla tradizione italiana della maschera, sia parodistica sia documentaristica. Qui si confrontano col documento storico, col discorso politico e non con il dramma di finzione; il tentativo che l’attrice compie in scena è quello di auto indursi uno stato alternativo di coscienza attraversando il discorso matteottiano con il lavoro sui punti energetici del corpo e sulla proiezione di vettori fonetici.
Così la parola diventa strumento di attivazione di un flusso energetico sempre vivo. Al cospetto del pubblico, testimone dell’azione, la performance, grazie a questo parossistico training d’attrice, si trasforma in un autentico rito teatrale con il quale l’attrice dà il suo “corpo laico” alle parole di Giacomo Matteotti.
“Si può fare teatro raccontando il giorno in cui apparve il fantasma, facendo finta che ci sia il fantasma o cercando di far apparire il fantasma. Quest’ultimo è un po’ da matti, ma è l’unico cimento che ci interessa”. (Teatro dei Borgia)
Nel caso di Giacomo il fantasma che vogliamo far apparire non è Matteotti ma il discorso politico, quello vero, incisivo, che si fa destino nella vita degli uomini e storia in quella dei popoli. Con Giacomo cerchiamo di portare il nostro teatro, che intendiamo come intervento d’arte drammatica in ambito politico, in un territorio di commistione col reale, portando il documento storico e il discorso politico nei teatri, perché crediamo che, se il teatro vuole riprendersi il suo posto nella polis, sui palcoscenici debbano prendere corpo le parole attorno a cui si costruisce la comunità politica, le parole che sono a fondamento della Repubblica.
Un ritratto storico
■ Il 31 gennaio 1921: Giacomo Matteotti denuncia le violenze fasciste; ammette che anche dalla sua parte ci sono state azioni violente: «Può essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo Stato borghese, e a sostituire lo Stato socialista, possa avere indotto taluni nell’errore di azioni episodiche di violenza»; e conclude con l’attacco al Partito fascista: «Oggi in Italia esiste un’organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione e nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile». Accusa di complicità «di tutti questi fatti di violenza» anche l’allora presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, che lo interrompe seccamente.
■ Il 30 maggio 1924: è la prima riunione della nuova Camera, chiamata ad approvare il risultato delle elezioni dell’aprile precedente (le ultime multi-partitiche, svolte con la legge Acerbo, proporzionale con premio di maggioranza). Il neo presidente dell’assemblea, Alfredo Rocco, propone a sorpresa la convalida in blocco dei deputati eletti per la maggioranza. Le opposizioni sono spiazzate.
Matteotti interviene a braccio, raccoglie le sue poche carte e chiede di parlare. Contesta la validità delle elezioni, dice che si sono svolte sotto la minaccia «di una milizia armata» al servizio del capo del governo. «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto» intima Roberto Farinacci a Matteotti. «Fareste il vostro mestiere», risponde lui. Conclude dopo un’ora, chiedendo di rinunciare alla violenza. A un collega che si congratula per l’efficacia del discorso replica amaro: «Però adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre». E qualcuno ha sentito Mussolini dire: «Quando sarò liberato da questo rompic… di Matteotti?».
Un gesto
Gli anni tra il 1922 e il 1924 sono quelli che intercorrono tra la Marcia su Roma e l’assassinio Matteotti, anni nei quali si è passati dalla precarietà della nascente democrazia italiana alla sua brutalizzazione, a cento anni da quelli avvenimenti abbiamo pensato di impegnarci nella loro comprensione attraverso le pratiche teatrali.
COSA SCRIVE LA CRITICA
«Al Mussolini insieme pusillanime e gigione, raccontato da Antonio Scurati nel primo tomo del bestseller M e portato in scena da Massimo Popolizio, […] Teatro dei Borgia contrappone una delle sue vittime più illustri, il socialista Giacomo Matteotti. […]
Come per il Moro di Gifuni, anche Giacomo è un’impressionante seduta spiritica. Un morto senza giustizia si incarna in un attore-sciamano, che si lascia possedere dalle sue parole, dalla loro logica geometria: per il contesto politico in cui agiscono, sia Moro (prigioniero delle BR) sia Matteotti (che attacca frontalmente il fascismo e la borghesia che lo sostiene) sono due folli da abbandonare al loro destino, alla rovina inevitabile. Quello del Teatro dei Borgia non è cabaret, non sono le pagliacciate del goffo esibizionista romagnolo. È la sfida di un uomo solo contro un regime.
Nel caso di Moro-Gifuni e di Matteotti-Cotugno, è la violenza terrorista a distruggere chiunque si opponga alle sue logiche. E dopo decenni, la vittima sacrificale torna tra noi, per chiedere ancora verità.
È un rito di purificazione, l’attore si immola. La scena diventa un altare laico. Gli spettatori testimoni della storia.
Le parole di Moro e Matteotti, nella loro disperata lucidità, sembrano promettere una possibilità di riscatto e di emancipazione. I due spettacoli cercano di avvicinarsi a una verità insieme umana e storica, partendo dalle loro stesse parole, pronunciate alla vigilia del martirio».
(Oliviero Ponte di Pino, «Ateatro»)
«La nostra possibilità di ripensare alla figura di Matteotti è oggi esercizio di libertà, non solo per un allenamento del corpo e della mente contro il fascismo e le sue reincarnazioni, ma soprattutto per la spietata lucidità con cui il deputato socialista analizzava i fatti, mettendoli uno dietro l’altro senza lasciare scampo agli assassini. […]
Il nuovo lavoro del Teatro dei Borgia – frutto di una ricerca cominciata nel 2019, ha a che fare con la postura dello spettatore, con la possibilità esperienziale presente nella relazione con la scena. Parlavamo proprio di esercizio di libertà, e in questo caso l’espressione è tutt’altro che metaforica, perché l’attrice, Elena Cotugno, misura per tutta la durata della performance il proprio rapporto con il testo attraverso un corpo a corpo con la parola. […] Borgia […] qui si impegna in un percorso all’insegna della messa in mostra del testo come reliquia politica, il tentativo allora è quello di rompere con gli stereotipi rappresentativi. […]
Cotugno con lo sguardo e la postura diagonali rispetto al pubblico, contrappone alle reazioni scomposte degli oppositori la razionalità del pensiero politico. La violenza fascista è qui rappresentata dall’interruzione continua, le spinte dell’aula sono espressione di un bullismo soverchiante: Cotugno/Matteotti si sbilancia, lavora sull’equilibrio e sulla sua perdita, cade e si rialza, ma continua incessantemente a denunciare i brogli e le irregolarità elettorali […] Il discorso di Matteotti diventa uno scontro di uno contro molti, […] (Elena Cotugno) intanto continua a rialzarsi ma senza cedere al pathos; siamo con lei, nella fatica che diventa commozione, resistiamo nel coraggio».
(Andrea Pocosgnich, «Teatro e Critica»)
«Sono parole potenti a cui l’attrice dona un cangiante registro vocale di grande impatto, ora sommessa, ora veemente: su una scena che ricostruisce (ma in posizione sghemba) i banchi dell’aula, usa magistralmente anche il corpo, ora ritta, ora supina, suscitando nello spettatore indignazione, strazio e pietà».
(Mario Cervio Gualersi, «Bebeez/arte»)
«Una rappresentazione che si fa portavoce di un sentimento di civiltà e di democrazia grazie ad una attenta costruzione dei dialoghi la cui abilità è data dall’interpretazione di Elena Cotugno nel rispondere al disegno registico di Gianpiero Borgia. […]
Non è un teatro di narrazione o un tentativo di ricostruzione storica bensì una trasfigurazione se si vuole meta-linguistica in cui lo spettatore può immedesimarsi e partecipare ad un rito collettivo. Un teatro impegnato che vuole sondare tematiche politiche, […] un teatro che restituisce alla memoria una ferita inferta alla democrazia. Assistere a Giacomo diventa così partecipazione attiva e collettiva, mediata anche dalla bravissima interprete che introietta la potenza verbale del testamento politico di Matteotti, incarnando una fisicità espressiva che sembra ripercuotersi nello spazio dell’ex Rimessa delle Carrozze, […] Giacomo è un superbo esempio di teatro contemporaneo che sa rivolgere lo sguardo sul nostro passato storico, spesso volutamente dimenticato, ma che sembra a volte riaffacciarsi con azioni e gesti simili sui quali è necessario riflettere».
(Roberto Rinaldi, «Rumorscena»)
«Che la figura di Matteotti sia interpretata da una giovane attrice permette di allontanarsi da una rappresentazione meramente mimetica del personaggio storico, consentendo alle parole pronunciate di incarnarsi in un corpo vivo. La necessità di tornare a riflettere sui concetti di democrazia e legalità – ancora oggi rinegoziati e messi in dubbio – rende Giacomo uno spettacolo capace di creare un ponte tra passato e presente, fornendo allo spettatore una testimonianza documentaria stimolante e parlando in modo chiaro e diretto alla società contemporanea».
(Chiara Carbone e Alice Strazzi, «Stratagemmi»)
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BIGLIETTO STUDENTI
Posto unico € 12,00
Gli studenti con disabilità certificata hanno diritto al biglietto omaggio.
Accompagnatori gruppi scolastici: è previsto 1 omaggio ogni 15 studenti paganti, altrimenti ridotti a € 5,00 per accompagnatori in esubero rispetto al rapporto di 1:15.