Il corso di Porta Romana, per lunghi secoli centro dell’eleganza cittadina, luogo prescelto per cerimonie trionfali e liete feste, alla fine del ‘700 vide diminuita la sua importanza, perché in altra zona della città a Porta Orientale, fiorivano nuovi quartieri prescelti per la residenza e i convegni dei nobili. Tuttavia il Piermarini, ancora negli ultimi anni del secolo, incaricato di sistemare il corso, provvide a restaurare le case, intervenne sulle decorazioni architettoniche con gusto personale, ordinò il miglioramento del suolo stradale, che venne selciato a nuovo e listato di trottatoi di granito sui quali sfrecciavano (si diceva a quel tempo) i cocchi spesso spinti a velocità smodate.
In questa cornice, tanto diversa da quella attuale, nel 1801 la Società teatrale della Casa Carcano decise di trovar spazio per un nuovo grande teatro. L’area era quella dell’ex convento di San Lazzaro, acquistata da Giuseppe Carcano – discendente di una nobile famiglia e amante delle arti – che già nel 1797 nel proprio palazzo (situato nell’odierna via Francesco Sforza) aveva aperto un teatrino privato, uno spazio resosi presto insufficiente ad accogliere il folto pubblico che lo frequentava.
L’architetto, un giovane d’ingegno, Luigi Canonica, prese a modello la Scala e il Teatro della Cannobiana e in soli otto mesi realizzò quanto richiesto. Il Teatro Carcano aveva cinque ordini di palchi compreso il loggione, volta decorata a stucchi e dorature, un medaglione centrale, ornamenti dappertutto di tipo neoclassico ed era dotato anche di una pasticceria e trattoria. Posti dai 1200 ai 1500. Era un teatro celebrativo, per una élite che aveva visto passare la Rivoluzione, ma aveva anche avvertito il principio di restaurazione insito nell’impero Napoleonico. Il 3 settembre 1803 la nobiltà e la ricca borghesia riempirono il teatro per la serata inaugurale: il programma comprendeva Zaira tratta dal dramma di Voltaire, musicata da Vincenzo Federici (ventisei anni dopo lo stesso soggetto sarebbe stato messo in musica anche da Bellini) e il ballo Alfredo il grande musicato da Paolo Franchi. Scriveva uno spettatore: «Il Teatro non poteva riuscire né più bello, né più elegante, onde poter gareggiare nel suo essere con i più rinomati teatri d’Italia. I soci [del teatro, ndr] nulla hanno risparmiato per rendere lo spettacolo grande e maestoso, e degno del gusto di una nazione colta ed illuminata!».
Ad un anno di distanza, in un opuscolo stampato dalla tipografia Giuseppe De Stefanis in contrada San Zeno, un non meglio identificato C.G.L. affermava: «Gl’impresari del Teatro Carcano, supplendo con l’attività e col buon discernimento all’innato amor di parsimonia, hanno saputo, con poco dispendio, comporre uno spettacolo dilettevole e interessante che vince di gran lunga al paragone quel più costoso, ma noioso e insignificante, del Teatro alla Scala». Concludeva infine con una lode a Giuseppe Carcano, la cui opera «starà fra i nostri posteri qual monumento perenne d’animo cittadino e generoso».
L’attività proseguì con un certo lustro e con intervento di artisti famosi, ospitando farse e drammi giocosi, drammi lirici, balli, prosa e intermezzi musicali. Fra di essi, anche opere scritte appositamente per il Carcano.
Nel 1805 addirittura il ballerino e coreografo Giovan Battista Checchi si adoperò per la fondazione di una scuola di ballo del teatro (sarebbe stata la prima in Italia), nella quale avrebbe impegnato i celebri maestri Giuseppe Taglioni, Pietro Hus e Louis Henry, ma per motivi economici il progetto non poté essere realizzato. Nell’arte della danza un nome che invece continuò ad essere frequente nei programmi del Carcano fu quello del ballerino, coreografo e compositore Salvatore Viganò.
Per far fronte alle ingenti spese ed aumentare gli introiti, nel 1806 Giuseppe Carcano richiese ed ottenne, seppure con qualche difficoltà, di avvalersi del gioco d’azzardo, così come già facevano la Scala e la Cannobiana nei propri ridotti. Ciò comunque non impedì al teatro di lì a non molto di accumulare debiti e restare chiuso per più di un anno per mancanza di risorse. Ma i fasti della scena cancellarono in fretta questo periodo poco felice.
Una serata memorabile fu quella del 15 dicembre 1813, nel corso della quale Niccolò Paganini venne proclamato “primo violinista del mondo”: le sue Streghe – scrisse un cronista – «sbalordirono e intontirono».
Negli anni successivi il pubblico avrebbe applaudito con altrettanto entusiasmo altri nomi celebri del panorama artistico, assistendo per esempio alle rappresentazioni di diverse opere di Gioacchino Rossini, tra cui L’Italiana in Algeri, presentata al Carcano prima ancora che alla Scala. Il 21 aprile 1829 si esibì invece per la prima volta sul palco di Porta Romana Giuditta Pasta, cantante lirica fresca di successi in tutta Europa, che fu protagonista di diverse opere per più di tre mesi e che nella stagione di Carnevale 1831 tenne a battesimo due opere nuove: Anna Bolena di Gaetano Donizetti, scritta appositamente per la serata inaugurale del 26 dicembre 1830, e La Sonnambula di Vincenzo Bellini, composta in due soli mesi e messa in scena dal 6 marzo 1831. Dopo Beatrice di Tenda, altra primizia belliniana, ecco Maria Malibran, famosa cantante lirica, legare il proprio nome (siamo nel 1833) a celebri edizioni di Norma e de La Sonnambula.
Erano anni di rigoglio musicale, favorito dalla politica dell’Austria; ma la ripresa non avveniva soltanto in campo teatrale. Una pagina di Carlo Cattaneo in Notizie naturali e civili sulla Lombardia, ci dà uno spaccato preciso della Milano degli anni attorno al 1840:
«I bastioni solitari e paurosi, ove si seppellivano i giustiziati, divennero ombrosi passeggi; si tolse il lezzo alle strade; e l’orrida abitazione dei cadaveri si rimosse dalle chiese; si sgombrarono dagli accessi dei santuari i mendicanti, ostentatori d’ulceri e di mutilazioni; a poco a poco non si videro più nella città piedi nudi e abiti cenciosi. Si apersero teatri, ove le famiglie, inselvatichite da sette generazioni, impararono a conoscersi, e gustarono le dolcezze del vivere civile, della musica, della poesia. II genio musicale rispetta e ambisce il giudizio del nostro popolo; un solo carnevale in uno dei minori nostri teatri diede al diletto dell’Europa la Sonnambula e Anna Bolena. Regnò la tolleranza di tutti i culti; e si aperse ospite soggiorno agli stranieri che apportavano esempi di capacità e d’intraprendenza. S’introdussero le scienze vive nella morta Università; si fondarono accademie di belle arti; rifiorì l’architettura, l’ornato riprese greca eleganza; s’innalzarono osservatori astronomici, si costrusse la carta fondamentale del paese; si apersero nuove biblioteche; le madri tolsero ai cuochi a agli stallieri la prima educazione dei figli. Soave rifece tutti i libri elementari; Parini, Mascheroni, Arici ricondussero l’eleganza letteraria indirizzandola ad alti fini scientifici e morali; Beccaria lesse economia politica; surse a poco a poco quella costellazione di nomi splendidi alle scienze a alle arti: Volta, Piazzi, Oriani, Appiani, cogli altri che la continueranno fino ai viventi. Gli allievi di tanto senno si sparsero in tutte le province, e propagarono in tutte le classi quel fausto movimento di cose e di idee che ci attornia da ogni parte, e ci arride all’immaginazione».
Il Carcano vide le barricate delle Cinque Giornate erette proprio davanti al suo ingresso. Fiero del suo blasone patriottico, fu il primo teatro a riprendere le rappresentazioni, la sera del 30 marzo 1848, con la Compagnia Nazionale Lombarda diretta da Giuseppe Moncalvo scoppiettante di legittimo entusiasmo. Lo spettacolo si concludeva con un «grazioso dialogo tra Metternich e Radetzky con Meneghino locandiere», ottenendo un successo clamoroso col pubblico, composto da nobili e popolani, così come del resto già era avvenuto nei decenni precedenti sempre con le maschere milanesi di Meneghino e Cecca impersonate da Moncalvo e da Angelica Ravel.
Era nell’ordine naturale delle cose che, ritornati gli austriaci pochi mesi dopo, il nostro teatro avrebbe dovuto fare spesso i conti con la censura, incappando anche in temporanee chiusure forzate. Difficile inoltre trovare bravi cantanti tra 1849 e 1850, poiché i migliori erano tutti all’estero. I teatri erano sempre più vuoti e per attirare pubblico si ricorreva ad attrazioni di ogni tipo, come per esempio la tombola con premi organizzata dal Carcano per il Carnevale del 1850. Fra i teatri chiusi in quel periodo per la scarsità di spettatori ci fu anche la Scala, i cui professori d’orchestra in segno di protesta chiesero ospitalità al Carcano per esibirsi insieme ai coristi e ad alcuni artisti in una serie di eventi atti a raccogliere fondi in loro favore.
Grande ritorno della lirica con Luisa Miller di Giuseppe Verdi il 9 settembre 1850 (prima volta a Milano), ma ci volle ancora qualche anno di assestamento prima che la qualità degli spettacoli ritornasse ad essere di un certo livello.
Si davano inoltre spettacoli di prosa (furoreggiavano Gustavo Modena, Adelaide Ristori, Ernesto Rossi, Tommaso Salvini), circo e arte varia, concerti bandistici, eventi di beneficienza e veglioni. Proprio al Carcano, alle ore 24.00 del 31 dicembre 1858, la Banda Civica di Milano diretta dal maestro Gustavo Rossari eseguì per la prima volta la travolgente marcia popolare di Paolo Giorza Daghela avanti un passo, poi nota col titolo La bella Gigogin, che ebbe una rapidissima diffusione durata sino ai nostri giorni, divenendo fin da subito un canto patriottico: alla radio, dal 1950, è la sigla musicale della trasmissione Gazzettino padano, il giornale RAI a cura della TGR Lombardia.
Dagli anni ’60 del XIX secolo per il Carcano come teatro lirico e musicale ricominciò una fase decadente, con rari sprazzi di successo. Un evento sicuramente molto importante fu il grande concerto di musica wagneriana – il primo nella città di Milano – tenutosi nell’aprile 1883 in memoria del compositore tedesco, scomparso poche settimane prima.
Il 3 maggio 1884 fece il suo debutto a Milano la leggendaria Eleonora Duse come interprete di Fedora e di altri noti titoli di repertorio con la Compagnia di Cesare Rossi, richiamando un pubblico immenso ed ottenendo un successo sconfinato.
Fra gli autori, e particolarmente per la prima di El nost Milan, avvenuta la sera del 6 febbraio 1893, va ricordato Carlo Bertolazzi. In due anni, dal 1891, il nome di Bertolazzi è comparso più volte sulle locandine. La prima volta è il 21 maggio: la Compagnia Sbodio – Carnaghi rappresenta, dell’autore non ancora ventunenne, ona scenna della vita. La “prima” assoluta era avvenuta al Teatro Guidi di Pavia. «Quattro pennellate sincere e sentite» giudica «La Lombardia». Passano nove giorni e va in scena la commedia I benis de spos. Dopo aver provveduto alla riduzione in dialetto de Le vergini di Marco Praga, il Bertolazzi dà un’altra commedia, In verzee, un bozzetto che prelude al realismo di opere di più preciso impegno. Il 4 gennaio del ’92 un tonfo: Dorina la modista. Delusione della critica, ma Bertolazzi va avanti lo stesso. Gli rappresentano Al Monte di Pietà e La prima sera. Quindi La povera gent che costituisce la prima parte de El nost Milan. Il «Corriere della Sera» liquida il testo interpretato da Davide Carnaghi (Togasso), Gaetano Sbodio (Peppin) ed Eugenia Malinverni (Nina) con una certa sufficienza e superficialità. «Questo Nost Milan più che una commedia è un seguito di quadri della nostra vita cittadina, legati fra loro da un azione drammatica semplicissima». «Il Secolo» non è da meno: «Anziché una commedia quale era annunciata dal manifesto è il succedersi di quattro pitture della vita popolare milanese». Accanto al giudizio più positivo espresso da «La Perseveranza», vi è quello decisamente negativo per Bertolazzi su «La Lombardia»: «Non è questa la strada sulla quale egli potrà esplicare una individualità artistica, né il mezzo, per lo Sbodio, di creare il tanto desiderato teatro popolare milanese». Bisognerà aspettare il 1953, e il Piccolo Teatro, per far giustizia di questa sentenziosa condanna. 4
A ogni modo il Bertolazzi continuò a far rappresentare sue commedie al Carcano. Citiamo Strozzin nel 1894; I sciori, seconda parte di El nost Milan, nel gennaio 1895; nel 1896 El clarinett, scritta con Francesco Pozza ed interpretata da Edoardo Ferravilla e Dina Galli, e le riviste con le musiche di Buzzi Peccia El sogn de Milan, in collaborazione con Francesco e Giovanni Pozza (gennaio 1895); la “prima” di Il paese delle belle gambe (dicembre 1897), che si avvaleva per le scene di un nome destinato a diventare famoso, Antonio Rovescalli, ebbe un grande successo al punto che gli autori furono costretti, prolungandosi le repliche, portate anche in altri teatri, a rinfrescare abbastanza sovente il copione con battute d’attualità.
Al Carcano avvenne la “prima”, nel dicembre del 1901, dei quattro atti I vincitori (La guera) di Pompeo Bettini ad Ettore Albini, a cura della Compagnia Stabile Milanese. Il dramma sarebbe riapparso a Milano nel 1957, al Piccolo Teatro, per la regia di Virginio Puecher.
L’ultima stagione lirica degna di nota fu organizzata nell’autunno 1893 dall’Impresa Edoardo Sonzogno, che programmò una serie di opere e lavori musicali premiati al Concorso Sonzogno, con artisti già eminenti ed altri che lo sarebbero diventati.
Un alternarsi di diversi impresari, sul finire del XIX secolo, contribuì certamente alla prima morte del teatro, che ormai si riempiva di rado, come per esempio sul finire del 1901, in occasione degli spettacoli rappresentati dalla Compagnia Ferravilla con l’esordiente Dina Galli, che divenne immediata beniamina degli spettatori.
L’8 maggio 1904 con una disposizione della Commissione di Vigilanza dei Teatri il Carcano venne definitivamente chiuso al pubblico; la sala era ormai ridotta a mal partito, nonostante i temporanei lavori di restauro eseguiti nei decenni precedenti, ed urgeva anche bonificare la strada dove si affacciava l’ingresso artisti, diventata covo di meretrici.
Cosa successe da allora fino all’inizio della ristrutturazione nell’estate del 1913 è poco chiaro: probabilmente rimase inagibile e fu concesso un permesso provvisorio solo per qualche raro evento e per il veglione che si tenne il 29 maggio 1913, organizzato a beneficio del fondo di previdenza dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, durante il quale vennero rievocate le glorie del teatro di fronte ad un pubblico commosso. Una foto di quel giorno, scattata nell’antico cortile del monastero di San Lazzaro, ritrae gli organizzatori dell’evento insieme ad alcuni artisti fra cui il maestro Giacomo Puccini, che, insieme a Pietro Mascagni e a tanti altri nomi noti della nobiltà, del teatro, dell’editoria e di svariati settori professionali – come per esempio il conte Guido Visconti di Modrone, Amedeo Ravina, Edoardo Rancati, Ettore Sormani, Leopoldo Fregoli, Ettore Panizza, Riccardo Sonzogno – aveva aderito come azionista alla costituzione della “Società Proprietaria Stabili Teatro Carcano”, costituitasi l’8 gennaio 1913 e presieduta dal Principe Emilio Barbiano di Belgioioso d’Este. Ma chi ebbe il merito principale della rinascita del Carcano fu Luigi Gianoli, che, forte dell’esperienza acquisita anche all’estero in materia di gestione dei teatri, con testarda passione era riuscito negli anni precedenti nell’ardua impresa di individuare il nucleo di persone che avrebbe potuto contribuire a ridare valore a questa sala milanese ormai malconcia.
Così, su progetto dell’architetto Nazzareno Moretti, il 21 luglio 1913 si cominciarono i lavori, demolendo alcuni stabili attorno al teatro per dargli più spazio e respiro. Il 30 settembre la demolizione interessò il corpo del fabbricato verso strada, radendolo completamente al suolo in due settimane. A quel punto si poté iniziare a scavare per creare le fondamenta del nuovo fabbricato, che risultò perfettamente compiuto nel maggio 1914, coniugando bellezza, comodità e sicurezza e mantenendo ancora una vasta capienza della sala. La nuova facciata rientrante, a emiciclo, e l’ampio porticato con un’aiuola antistante riflettevano il gusto dell’epoca con contaminazione eclettica di reminiscenze neoclassiche e influenze dello stile floreale. Furono rinnovati la sala e i camerini degli artisti, mentre il palcoscenico, completamente riattato alle esigenze richieste dal modernizzarsi degli apparati scenotecnici, poteva contare su efficaci mezzi controbilanciati per il sollevamento delle scenografie e dei mezzi di illuminazione. Presente ancora la pasticceria ed intatta la volta acustica originale. Il nuovo Teatro Carcano – per costruire il quale nessun operaio fu vittima di incidenti, come purtroppo invece spesso accadeva nei cantieri – fu inaugurato il 4 giugno 1914 con uno spettacolo di beneficienza.
In quello stesso anno ritroviamo Ferravilla con la Galli e Amerigo Guasti, interpreti di Una famiglia ferruginosa. In sala pare fosse presente alla “prima”, in incognito, Eleonora Duse. Il 20 febbraio 1915 invece Ermete Novelli scelse il Carcano per il suo addio alle scene «ma non alla gloria».
Negli anni ‘20 sopra il porticato venne eretto un fabbricato residenziale che nascose la vera facciata del teatro il quale, contestualmente, si trasformò in cineteatro, perdendo l’aspetto nobiliare. Nel periodo tra le due guerre il Carcano iniziò ad offrire anche spettacoli cinematografici (con regolarità dal 1927), alternati a quelli 6
teatrali, che mostrarono una certa routine nel repertorio scelto. Il corso di Porta Romana adesso era una via animata dal via vai dei tram e nelle botteghe; le case borghesi, senza pretese, si allineavano sui due lati, espressione dei nuovi dislocamenti di ceti nell’ambito urbano. Il centro era lontano; qui era già periferia del mondo teatrale. Porta Romana divenne una zona bonaria, di ceto medio, vicina alle più popolari Porta Genova e Porta Vicentina. Offriva lo spunto a un folklore ambrosiano che sarebbe arrivato sino al pungente Enzo Jannacci che si sarebbe ricordato del nostro teatro nel 1965 in una canzone fortunata, Veronica, la prostituta che qui accontentava i suoi clienti «per una cifra modica»: «l’amor con te non era cosa comoda, né il luogo, forse, era il più poetico: al Carcano, in pé». Essa era forse un’eco maliziosa di una colorita descrizione di Paolo Valera a chiusura di Milano sconosciuta: «In questa città di molti ipocriti e di molti depravati, la pretura ha ieri l’altro documentato la lussuria delle nuove femmine e dei nuovi maschi. In locali annessi al Teatro Carcano, adibiti a tabarin e ad albergo, si cancaneggiava in tutti i modi, nudi e vestiti. Non c’era più scrupolo. Senza scrupolo non avevano più ritegni. Cinedi, etere, giovani e giovane, si abbandonavano a tutti i quadri plastici. Le età erano saltate via. Danzavano in tutte le fogge. Voluttuosi tango, jazzs eccitanti e rimescolati».
Nel secondo dopoguerra il Carcano, anziché risollevarsi, ebbe una crisi. Risale al dicembre 1946 o all’estate del 1947 la sua definitiva chiusura come teatro. Adattato per un’offerta prevalentemente cinematografica, riaprì l’8 ottobre 1948 con uno spettacolo dal titolo Le quattro arti, che rese omaggio a prosa, danza e musica, mentre sporadicamente si facevano anche operetta, lirica di buon comando e varietà. Negli anni ‘50 si sperimentarono alcuni spettacoli “leggeri” di prosa. Tino Scotti per esempio portò su questa scena II mago di Milano. E c’è chi ricorda che Sandra Mondaini fece qui i suoi primi passi teatrali. Anche negli anni ’60 andavano per la maggiore spettacoli brillanti e commedie musicali con interpreti quali Gianni Magni, Domenico Modugno, Walter Chiari, Walter Valdi, Claudio Villa, Piero Mazzarella.
Bisogna arrivare al 1965 per veder riapparire la prosa nel vecchio teatro. Il 2 marzo di quell’anno il Piccolo Teatro compì uno dei primi esperimenti di decentramento teatrale: da via Rovello a corso di Porta Romana. Sembra poco, anche se si considera che il traffico, scomparsi i cocchi delle origini, e sciamanti le auto, poteva far sembrare più lungo ora il tragitto. In effetti fu una rivoluzione, timida quanto si vuole, per la mentalità di chi polarizzava al centro le attività culturali. Era una sera fredda, nevicava; le poltrone, in sala, scricchiolavano, ma il pubblico era folto. In sei recite si registrarono quattromila presenze e la sera del sabato grasso c’erano ben mille persone in sala. Il richiamo dello spettacolo fu certo notevole. Si rappresentava Sul caso Oppenheimer di Kipphardt, la regia era firmata collettivamente da Giorgio Strehler, Fabio Carpi, Virginio Puecher, Luciano Damiani, Fulvio Tolusso.
Il cinema però ebbe poi la prevalenza; si interruppe l’attività cinematografica del cineteatro Carcano nel marzo 1966, per riprendere a pieno ritmo dal 24 settembre 1969 sotto il nome di Cinema Arcadia, dedito soprattutto al circuito dei film d’essai. Nel primo anno la sala rientrò fra i cinema di prima visione, ma poi finì fra quelli di seconda visione. Tuttavia, negli anni ’70 ospitò numerosi film d’autore, destinati ad un ristretto pubblico di cinefili.
Nella seconda metà del 1980 chiuse i battenti anche l’Arcadia e, dopo una radicale e rapida ristrutturazione, il 24 novembre dello stesso anno tornò ad essere il Teatro Carcano, recuperando la propria vocazione originale. Da allora svolge un ruolo fondamentale nella vita culturale milanese e nazionale.
Tra i grandi del teatro che negli ultimi decenni hanno calcato il suo palcoscenico ricordiamo Salvo Randone, Giulio Bosetti, Anna Proclemer, Gabriele Lavia, Alberto Lionello, Piera Degli Esposti, Monica Guerritore, Marcello Mastroianni, Valeria Moriconi, Sergio Fantoni, Vittorio Gassman, Marina Bonfigli, Giorgio Albertazzi, Giuliana Lojodice, Nino Manfredi, Ottavia Piccolo, Aroldo Tieri, Gianrico Tedeschi, Marina Malfatti, Giorgio Gaber, Franca Rame, Lella Costa, Paolo Poli, Giuseppe Pambieri, Isa Danieli, Mariano Rigillo e il premio Nobel Dario Fo.
Tra le stelle della danza Carla Fracci, Luciana Savignano, Louis Falco, David Parsons, Oriella Dorella, Raffaele Paganini, Cristina Hoyos, Daniel Ezralow, Michael Clark.
Nei primi anni ’90 furono compiuti nuovi lavori di abbellimento che ricrearono in parte lo stile liberty caratteristico della rinascita di inizio ‘900, come la pensilina tuttora esistente all’ingresso principale e varie decorazioni in stile floreale, che resero più accogliente l’edificio e più armonioso l’impatto estetico.
Dal 1991 ospita al suo interno una prestigiosa scuola di danza, il Centro Studi Coreografici, fondato e diretto dal Maestro Aldo Masella e da Renata Bestetti.
Diretto da Giulio Bosetti dal 1997 al 2009 e successivamente da Marina Bonfigli, il Teatro Carcano è stato reso ancora più confortevole dopo i lavori di ristrutturazione realizzati nell’estate 2010: sostituzione della pavimentazione e delle poltrone di platea e balconata, nuova illuminazione della sala, rifacimento del botteghino. Altri importanti interventi (adeguamento delle strumentazioni tecnologiche e di palcoscenico, ultimazione dei lavori riguardanti la sicurezza) hanno reso ancora più solida e sicura una sala il cui accesso è consentito senza difficoltà anche ai disabili, grazie alla platea collocata a livello del piano stradale.
Da settembre 2014 il Carcano ha visto insediati come direttori artistici Sergio Fantoni e Fioravante Cozzaglio. Dopo la morte di Fantoni nell’aprile 2020 e le dimissioni di Cozzaglio nel maggio 2021, da giugno 2021 la gestione è stata assunta dal Gruppo Sosia & Pistoia e dal manager Carlo Gavaudan che ha portato Lella Costa e Serena Sinigaglia alla direzione artistica e Mariangela Pitturru come responsabile della programmazione e del coordinamento artistico.