Wyoming, 1963: un’America rurale di estrema povertà fatta di piccoli villaggi e popolata da sparute comunità retrograde. Quando i diciannovenni Ennis e Jack accettano un lavoro da pastori su una montagna isolata, le loro certezze di vita cambieranno per sempre, segnate da un amore irrefrenabile e nascosto lungo vent’anni.
Un’indimenticabile storia di amore, lotta e accettazione. Per la prima volta in Italia dopo il successo londinese, Brokeback Mountain - basato sul racconto di Annie Proulx e a vent’anni dal pluripremiato film omonimo - si trasforma in una sontuosa produzione teatrale con musiche dal vivo. Una “play with music” intima e spettacolare in cui i brani originali di Dan Gillespie Sells, interpretati da Malika Ayane e una live band, si intrecciano in modo indissolubile alla storia, tracciando paesaggi sconfinati e dando voce al tumultuoso mondo interiore dei due protagonisti. Nei ruoli principalidi Ennis e Jack, due giovani attori dal grande carisma e con solide esperienze alle spalle al cinema e in teatro: Edoardo Purgatori (Diamanti, Siccità) e Filippo Contri (Vita da Carlo).
Un’esperienza coinvolgente e di forte impatto emotivo - che mescola teatro, musica dal vivo e cinema - per una storia d’amore universale e senza tempo, pronta ad appassionare e commuovere un’intera nuova generazione di spettatori con il potente messaggio che porta con sé, svelando emozioni e dettagli ancora inesplorati.
Annie Proulx, autrice del racconto originale, ha definito “profondamente commovente” l’adattamento teatrale di Ashley Robinson che ha riscosso grande successo in Inghilterra. La storia di Jack ed Ennis ha conquistato il mondo del cinema nel 2005 con il film di Ang Lee I segreti di Brokeback Mountain, premiato con tre Oscar, un Leone d’Oro, quattro Golden Globe e quattro Bafta.
Note di regia di Giancarlo Nicoletti
Portare Brokeback Mountain a teatro rappresenta per me un esercizio di sottrazione e di fiducia. Fiducia nella struttura narrativa del testo, nella potenza emotiva dei personaggi e soprattutto nella capacità del linguaggio teatrale – contaminato da altri codici espressivi – di restituire una storia che, pur ancorata a un preciso contesto geografico e temporale, possiede una portata universale ed è in grado di parlare in modo diretto, profondo, quasi istintivo, alla pancia e al cuore di chi guarda. L’impianto registico vuole fondarsi, allora, sull’idea che l’essenzialità possa essere, al contempo, valore drammaturgico e cifra stilistica: la storia di Ennis e Jack non ha bisogno di sovrastrutture, in quanto racconto lineare e profondo, che ci interroga su temi come l’identità, il desiderio, il tempo, la perdita. La volontà è di affidarsi pienamente alla qualità degli interpreti, alla direzione attoriale e alla forza espressiva della musica dal vivo, che diventa elemento drammaturgico centrale. Una musica che non accompagna, ma struttura, in grado di creare paesaggio, clima emotivo, respiro interno.
La sfida è quella di pensare Brokeback Mountain non come una montagna, ma come un luogo dell’anima. Un dispositivo scenico, allora, al servizio della storia, che la reinventi con il mezzo teatrale, tenendo ben presente e dimenticando, allo stesso tempo, la fortunata versione cinematografica. Una messinscena aperta e ibrida, in cui l’intreccio tra linguaggio teatrale e musicale e l’uso di videocamere dal vivo sia in grado di moltiplicare i piani di lettura, restituendo gli occhi di un’intimità possibile, entrando nei dettagli, nei gesti più piccoli, in una dimensione quasi “invisibile” che il teatro a volte fatica a cogliere. Uno spazio scenico lontano da ricostruzioni naturalistiche, ma che possa trasformarsi in luogo evocativo, attraversabile, in grado di mutare e accogliere la dimensione emotiva della narrazione. La “vastità” dei luoghi – così centrale nel racconto originale – viene allora affidata alla musica, ai giochi di luce, alla suggestione teatrale-cinematografica, in uno spazio in costante trasformazione, che si dilata e contrae, facendosi intimo o aprendosi all’orizzonte, in relazione diretta con ciò che accade tra i corpi in scena. Nessun confine tra interno ed esterno, tra paesaggio e spazio mentale: tutto deve essere potenzialmente permeabile e interconnesso.
Nel desiderio, infine, di portare in scena un lavoro che indaghi la relazione tra intimità e distanza, tra spazio privato e spazio sociale, tra ciò che è visibile e ciò che resta celato; un’esperienza di cui il pubblico non sia solo spettatore, ma parte del processo emotivo, interrogandosi su ciò che resta, che non si dice, che si perde o che si conserva dentro. Non uno spettacolo “sul” desiderio, ma che “del” desiderio restituisca la vibrazione, il movimento, la presenza silenziosa; lasciando che, per un momento, ciò che accade in scena risuoni come qualcosa di familiare, pur se lontano. Come una montagna, appunto, che non si può dimenticare.