La commedia scritta da Antonio Russo Giusti nel 1923, è tratta da una storia vera capitata proprio all'autore, che oltre a essere commediografo e giornalista era anche avvocato
La storia narra la vicenda dei cugini Favazza che si contendono alacremente l'eredita del loro defunto zio. Il ripote Antonio Favazza che, a giudizio di popolo, si ritiene l'erede principale e universale, comincia a spendere tutti i propri risparmi e si indebita per dare solenni onoranze al congiunto.
Egli compra mobili, progetta la ristrutturazione del palazzo che crede di avere in eredità e comincia a quantificare i beni derivati dai terreni coltivati che possedeva lo zio. Purtroppo, scopre amaramente, a sue spese, che all'apertura del testamento egli è riconosciuto sì come erede universale, ma con l'obbligo di tanti legati che vanificano i suoi sogni.
La disperazione prende il sopravvento ma, per fortuna la scoperta di un altro testamento posteriore mette le cose a posto con giustizia più equanime.
Le sorprese non finiscono qui. Infatti, interviene un altro contrattempo riconducendo il povero Favazza nella più cupa disperazione.
Il successo di questa commedia arriva con l'attore catanese Angelo Musco, il quale portò in scena "L'eredità dello zio buonanima" e "L'art. 1083" (intitolato successivamente "Gatta ci cova") in giro nei teatri italiani con grande successo. Da questi lavori furono tratti addirittura dei film nel 1937, a seguito dell'acquisto dei relativi diritti d'autore da parte dello stesso Musco.