Ágota Kristóf è nata in Ungheria nel 1935. Il padre è un insegnante, l’unico insegnante del suo piccolo paese. A 14 anni entra in collegio. Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria. È la storia di una bambina poi ragazza e poi donna, costretta ad abbandonare la sua terra natale insieme al marito e alla figlia neonata, quando l’Armata rossa interviene in Ungheria per sedare le rivolte popolari per rifugiarsi in Svizzera. Sfida il freddo, la povertà, la sofferenza, la fame, la solitudine e la mancanza di qualcosa che in una situazione come quella dell’autrice, potrebbe essere considerata secondaria, invece non lo è affatto: la conoscenza della lingua. Con la perdita della Madre Patria, si diventa orfani della Madre Lingua.
In questa autobiografia scarna ma precisa, com’è il suo stile, la Kristóf analizza e racconta la natura del suo disagio più grande nella condizione di profuga: la perdita di identità intellettuale. Incapace di esprimersi e di capire cosa le succede attorno, non conoscendo la lingua francese, si definisce muta e sorda. Ed è questo che la messa in scena vuole urlare in silenzio allo spettatore... Qual è lo stato d’animo di urgenza comunicativa non sorretta da mezzi espressivi adeguati, l’inquietudine che prova chi approda da profugo in terra straniera, chi da anziano non è messo nelle condizioni di capire i nuovi mezzi di comunicazione pur costretto ad usarli, o ancora più semplicemente l’incomunicabilità tra generazioni differenti, come tra Agota e sua madre. Poche le parole che si scambiavano nella sua infanzia, nessuna nella sua adolescenza in collegio e poi oltre confine... fino a ritrovarsi orfani di madre genitrice e madre lingua insieme, lontano da quel posto «dove ogni cosa aveva un nome noto, ogni stato emotivo aveva delle parole per descriverlo...».
La Nostra Analfabeta parla al pubblico per ricordarsi quanta strada ha percorso prima di avere la gratificazione di vedere le proprie opere tradotte da altri in tutto il mondo. Per ricordare ed incoraggiare quanti come lei, orfani di Terra e di Lingua, devono ricominciare in età adulta con l’alfabeto della Lingua Matrigna. Ogni parola ha una radice e questa germoglia in noi sin dalla vita intrauterina, ascoltando il mondo che ci circonda. Strappati da quel mondo si cerca di restare a galla in acque sconosciute. Come sopravvivere senza disintegrarsi ma integrandosi?
È proprio lo Scrivere che, in esilio, diventa il suo mezzo per navigare nelle acque sconosciute di una nuova cultura, il suo modo per sopportare gli anni tanto odiati, quelli in una fabbrica di orologi dove sente soltanto il ritmo delle macchine e a quel ritmo deve adeguarsi. E decide di farlo proprio nella lingua francese, che così tanto prima aveva detestato: leggere e scrivere è, per lei, «una malattia», un bisogno impellente: «questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è stata imposta dal caso, dalle circostanze. So che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori francesi di nascita. Ma scriverò come meglio potrò. È una sfida. La sfida di un’Analfabeta».
OBIETTIVI DIDATTICI
Lo spettacolo affronta due temi particolarmente caldi e strettamente connessi: l'importanza dei libri nella vita e il difficile percorso di integrazione di una migrante, orfana della propria lingua. In particolare, si esplora la passione per la lettura che nella vita dell’autrice si rivelerà vero salvagente nelle tempeste che si troverà ad affrontare. Strettamente legato a tale tema è la sofferenza causata dal ritrovarsi in un paese la cui lingua non si conosce, per cui non solo si rimane isolati, ma anche privati della possibilità di leggere.
COSA SCRIVE LA CRITICA
«Spettacolare innanzitutto per la semplicità di comprensione, ma sicuramente frutto di preparazione estenuante. È davvero impressionante sentire, e vedere, Patrizia Labianca porgerci con costruita naturalezza questa sorta di «confessione privata» in prima persona, […] basata sul rapporto con le parole, i versi, la lingua, il suo significato, la sua funzione sociale, e quindi politica».
(Gianfranco Capitta, «Il manifesto»)
«Lingua matrigna, eppure mezzo di riscatto e di vitale risarcimento. Buona e convincente la prova d’attrice di Patrizia Labianca, fra disincanto ironico e partecipazione».
(Pasquale Bellini, «La Gazzetta del Mezzogiorno»)
«Le parole della Kristóf adattate ad un’inflessione particolare che ne sottolineano la diversità, mai artefatta, rimbalzano Lingua matrigna sugli spettatori in modo quasi asettico, come d’altronde il suo scrivere, lasciando parlare i fatti a cui le musiche scelte danno ulteriormente spessore, raccontando davvero una vita che più straordinaria non si può».
(Mario Bianchi, eolo.ragazzi.it)
«In questo spettacolo, del quale è importante mettere in evidenza il pazzesco lavoro di incarnazione operato dall’attrice, questa lotta di riconquista dell’identità attraverso le parole – scritte o orali che siano – è primaria. Necessaria. Totalizzante. […] un lavoro lodevole che ha il grandissimo merito di non soccombere alla sua stessa natura parlata e che, anzi, innalza ai massimi livelli il lavoro, già alto di suo, della koinè come strumento di conoscenza del mondo e di se stessi».
(Giuseppe Menzo, unfoldingroma.com)
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BIGLIETTO STUDENTI
Posto unico € 12,00
Gli studenti con disabilità certificata hanno diritto al biglietto omaggio.
Accompagnatori gruppi scolastici: è previsto 1 omaggio ogni 15 studenti paganti, altrimenti ridotti a € 5,00 per accompagnatori in esubero rispetto al rapporto di 1:15.