Stagione 2025-2026

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27 gennaio 2026

IL GRANDE NULLA

o quel che ci aspettava

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con Anna Manella, Alberto Marcello, Matteo Banfi, Romeo Gasparini

testo e regia Romeo Gasparini

scene Marina Basso

realizzazione Carlotta Baradel

costumi Romeo Gasparini

sound design Carlo Boschiroli

produzione Studio Mira

Scheda spettacolo

Il progetto
In occasione dell’ottantesimo anniversario dalla liberazione dei campi di concentramento, il giovane team under30 di Studio MIRA ha deciso di dedicarsi ad un progetto culturale che esplorasse l’argomento della Shoah dalla prospettiva della propria generazione. Mossi da un desiderio di dialogo tra quegli anni bui e il nostro contemporaneo, abbiamo costruito uno spettacolo che pone luce su un’inedita parentesi di vita di una delle sue figure più torreggianti: Liliana Segre. In fase di ricerca, tra centinaia di episodi inediti al palcoscenico, è emersa l’ombra di una corrispondenza tra la Senatrice ed il chimico e scrittore Primo Levi. Si scrissero dapprima nel ‘59, in occasione della pubblicazione di Se questo è un uomo, ed in seguito nell’86, per I sommersi e salvati. Nel brevissimo scambio epistolare Liliana Segre poneva allo scrittore una semplice domanda: «Ci si può davvero salvare?».
Essa echeggiava anche nell’anticamera di questo secolo XXI come un interrogativo fin troppo familiare e, tutt’oggi come allora, si ha il presentimento che la memoria di una sofferenza che si percepisce ormai lontana sia uno strumento estremamente friabile e garante di nulla. Infatti, come una gigantesca onda nera, questo dubbio, che aveva travolto Levi, è di recente tornato a stringersi attorno alla famiglia Segre. La scorta, le minacce, il ritorno della guerra in Medio Oriente e in Europa hanno germogliato in lei l’amaro pensiero: «Quando i testimoni non ci saranno più, ci dimenticheranno».
L’elaborato è interamente originale ed attinge dalla testimonianza pubblica della Senatrice. La stesura ha richiesto un anno di ricerca che è stato coronato poi da un dettagliato confronto con la famiglia Segre. Abbiamo poi ottenuto un entusiasta benestare e sentiti complimenti da parte del primogenito Alberto Belli Paci.

Lo spettacolo
Davanti all’imminente scomparsa dei testimoni diretti della Shoah, questo spettacolo nasce come il tentativo da parte di un gruppo di giovani artisti di prendersi carico della fiaccola della memoria, portando in scena delle vicende umane, senza tempo e sempre attuali. Tramite il linguaggio scenico onirico e fiabesco di Studio MIRA, lo spettacolo ripercorre alcuni episodi fondamentali della vita della Senatrice, cercando in essi tracce sparute di speranza per il futuro.

Note di regia di Romeo Gasparini
Si è cercato di mettere in conversazione la poetica di colto pessimismo di Levi con quella di lucida speranza della Segre partendo da ciò che il lager lasciò dentro ad entrambi nella forma dei loro sogni ricorrenti. Levi sognava di non aver mai abbandonato il lager, che la vita nuova ritrovata fosse solo un’illusione. La Segre invece, non ha mai sognato Auschwitz, bensì il bussare di suo padre alla porta di casa. È stata proprio in questa differenza a marcarsi lo scontro dei due ideali: mentre uno sognava la morte l’altra sognava la vita.
Nel 1944 Liliana Segre e suo padre Alberto furono deportati ad Auschwitz e lui fu immediatamente messo al lavoro nella fabbrica della gomma dentro al complesso della Buna. Liliana apprese della sua morte soltanto un anno dopo la liberazione, ma quando nel ‘59 lesse Se questo è un uomo, trovò nel racconto proprio il nome di suo padre: quanti Alberto potevano esserci ad Auschwitz Birkenau nel 1945? Scrisse dunque a Levi con grande ingenuità per sapere se fosse lo stesso uomo ma: «Mi rispose duramente: non è lo stesso Alberto. Si chiamava Alberto Finzi, e di figlie non ne aveva».
Nella ricerca di Liliana (appena ventenne) di una traccia del padre dentro le parole di Levi (appena trentenne) sta la medesima tradita speranza del nostro tempo. Sperare di tornare alla normalità, di riabbracciare il padre, è la stessa illusione cui siamo tratti oggi quando speriamo che dai capitoli bui della storia si possa semplicemente voltare pagina. Tanto quanto la ricerca di Liliana del proprio padre fu illusoria, tanto futile è il nostro attuale approccio ad una memoria sterile e nozionistica e che dimentica la propria funzione di monito. La speranza che permette all’uomo di superare i traguardi più irreali non è qualcosa che appartiene al passato, ma dentro ognuno di noi, e necessita continuo e personale rabbocco.
Accettando che non potremo mai restituire gli orrori del lager in palcoscenico e men che meno riviverli noi stessi, occorre cercare nelle parole dei testimoni la goccia di umanità universale che nella ritualità della ormai sbiadita Giornata della Memoria sembra essere andata perduta. Solo riconoscendo l’estemporaneità della sofferenza, in tutte le sue forme attuali e future, si può affrontare il vasto mare dell’indifferenza, appunto, il grande nulla.

Sinossi
Il mare scuro del pavimento di scena ospita un’isola di sabbia chiara. Su di essa, si erge una foresta di tronchi scavati e chiari, cadaveri di cento tempeste. Ai bordi della zolla un lembo d’acqua si ritira rivelando il corpo di una giovane. Da lontano la voce di Liliana, ormai anziana e stanca, lamenta la scomparsa del padre Alberto: «È passato quasi un secolo da quando ci hanno separati, così in fretta sui binari...».
Dopo la brutale separazione ad Auschwitz lui era sempre venuto a trovarla in sogno, bussando alla porta di casa, ma ora non più. Sono altri i ricordi che adesso riaffiorano dalle onde e che trasformano i colpi secchi sulla porta in una campana d’allarme. La liberazione del campo di concentramento di Ravensbrück prende la forma di una tremenda tempesta che, una volta placatasi, riporta a riva accanto alla ragazza il suo più tremendo carceriere. Bestiale, nudo e scalzo, giace inerme questo mostro marino, che nulla più ha di umano, e getta lo sguardo su di lei: «Presto mi raggiungerai, sott’acqua. Scompariremo tutti quanti».
La giovane è dunque rovesciata in un susseguirsi di episodi, scanditi dall’ingresso di un’onda che, ad ogni rabbocco, altera l’impianto scenico. Dapprima emergono i soldati americani liberatori, dolci nella loro ignoranza. Poi altri superstiti del lager, cinici e impazienti di attraversare il mare e giungere a un’altra sponda. Assieme, assemblano un’improbabile zattera di medusa, su cui la ragazza affronta il tortuoso viaggio di ritorno con un obiettivo in testa: tornare a casa dal padre Alberto.
Giunti a destinazione tuttavia, tutti i personaggi apprendono impotenti quanto il mondo sia cambiato e quanto la loro tragedia sia già stata superata. Davanti all’avverarsi della profezia del mostro marino, si palesa, tra i compagni di viaggio, lo scrittore Primo Levi. Illusorio era stato pensare di poter tornare a casa. Infantile e incauto sperare che qualcuno la potesse salvare. Levi le rinfaccia il loro scambio epistolare e con parole tremende le rovescia la prospettiva: «Sotto i piedi non ci sia mai stata la spiaggia, ma il fondale».
Arrendendosi alle onde la abbandona nell’incubo, che tutt’attorno va sgretolandosi. Ma allora chi bussava? Se non suo padre, chi stava cercando la ragazza? Stringendo i flutti come una coperta, la ragazza sfonda la parete del sogno e confronta la sua vera autrice: Liliana. Era lei che bussava, in cerca di suo padre, ma dopo 80 anni, anche lui era sparito dai suoi ricordi. Così fragile e sbiadito si è rivelato lo strumento della memoria; tanto che al crepuscolo della vita, nulla sembra rimanere. La ragazza riesce tuttavia a consolarla, producendo un ultimo episodio di grande coraggio avvenuto durante la marcia della morte. Col sole che finalmente bagna il volto, tutto il cast prende una boccata d’aria prima di tornare in acqua ad affrontare la sempre incalzante onda della storia, incerti di una possibile salvezza, ma rincuorati almeno con una rinnovata speranza.

GIORNO ORARIO PREZZO DA
Mar 27 gen 19:30 € 26,25 Acquista

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