Definire l’incommensurabilità di un capolavoro come Le nozze di Figaro e quale sia la sua natura interpretativa non è certo impresa nostra.
Piuttosto lasciarsi suggestionare da “voci” drammaturgiche che ci invitano al gioco della trasformazione. E non solo!
Nello spazio evocativo di un Settecento decadente e sempre “fuori posto”, con sagome di mobilia accatastata che non trova collocazione, si scompaginano realtà e sentimento. Le scene create dalla pittrice e scenografa Lidia Bagnoli sottolineano questa instabilità degli affetti in un gioco di rimandi con gli accenni coreografici, spesso ironici, curati da Simone Magnani.
Scossi dal “affetto pien di desire” di cui Cherubino chiede il segreto alla sapienza delle donne, i componenti della grande famiglia “allargata” e patriarcale del Conte e della Contessa, avviano, ciascuno a suo modo, un processo di conoscenza che li trascina nell’abisso delle emozioni.
Dal sorgere del Sole alla Notte ogni personaggio incontra se stesso via via rivelandosi e gettando le proprie scorie caratteriali. L’espediente classico del tra/vestimento qui non scioglie solo l’intreccio della commedia, ma tras/forma, affidando solo al riconoscimento della voce amata il compito di essere deus ex machina della vicenda.
Sullo sfondo il grande tema sociale dell’emergere di un nuovo ceto che porrà fine all’aristocrazia, e in primo piano, ahimè sempre contemporaneo nostro, la prepotenza e la rapacità sessista del Conte che vuole possedere la serva Susanna in procinto di convolare a giuste nozze con Figaro.
Ma per Mozart e Da Ponte nessuna donna viene uccisa, per quanto accusata di leggerezza e civetteria, e per quanto lo sia davvero.
Figaro crede all’innocenza di Susanna e mette in moto un suo macchinoso intrigo di aiuto, sostenuto dalla conquistata alleanza delle tre donne del palazzo: la Contessa, la giovanissima (e ninfetta) Barbarina, la matura Marcellina a cui Da Ponte affida il proclama di parità e armonia tra i sessi, legge universale rispettata anche dalle “più feroci belve [che] per selve e per campagne lascian le lor compagne in pace e libertà”.
Diversamente dagli uomini, le donne de Le nozze di Figaro, in particolare la Contessa tradita e umiliata e Susanna che sfugge con intelligenza ed equilibrio alle profferte del Conte, si alleano, sanno annullare i ruoli sociali, instaurano una reciprocità basata sull’amicizia, sulla “sorellanza”, che instaura un nuovo ordine di libertà.
E questo sarebbe una Rivoluzione.
(Sonia Grandis)
La scena di Le nozze di Figaro: verso l’ultimo Carnevale
Nel lato in basso a sinistra di una celebre incisione del 1750 dello scenografo e pittore di vedute Giovanni Francesco Costa (Venezia, 1711-1772) scorgiamo una piccola “troupe” che armeggia con uno strumento ottico utilizzato spesso da pittori, fra cui anche Canaletto, per velocizzare il proprio lavoro. Si tratta di una camera obscura.
Negli anni in cui Mozart componeva Le nozze di Figaro (1776) questo strumento, che poi si evolverà nella moderna macchina fotografica, era ampiamente conosciuto, perciò mi sono immaginata un Conte di Almaviva che si diletta a guardarvi attraverso per godere in solitario delle immagini di donne da esso ricavate. In un gioco di doppi usi e rovesciamento di funzioni (e di finzioni) di cui la storia è piena, Cherubino/Mozart si prendono gioco del Conte e delle sue manie utilizzando l’apparato che sorregge la camera obscura come nascondiglio semovente in un improbabile gioco a nascondino, approfittando del telo scuro che deve impedire alla luce di passare se non attraverso il piccolo foro che proietta l’immagine sul foglio da disegno. Questo prendersi gioco dei privilegi e delle ipocrisie retrogradi del Conte continua nella scena con la visualizzazione di una marcia antimilitarista che Cherubino contrappone alla pomposa
idea della gloria militare. È una realtà vista attraverso un obiettivo o un buco della serratura ma anche, come oggi, attraverso lo schermo di uno smartphone in cui le idiosincrasie e le ipocrisie si riflettono, si ingrandiscono, rivelano la loro pochezza ma anche la loro pericolosità. In questo sta la sorprendente modernità di Mozart: la grazia sublime della sua irriverenza ci tocca da vicino.
L’ultimo Carnevale di Victor Stoichita e Anna Maria Coderich individua il 1799 come l’anno in cui il mondo rovesciato dell’ultimo, vero, Carnevale crolla sotto i colpi del rivolgimento del decennio precedente. Sono gli anni in cui Goya rappresenta i Reali di Spagna sotto le spoglie dei loro macabri simulacri dopo che, un anno dopo la morte di Mozart, egli aveva rappresentato un fantoccio con le fattezze di un nobile (El Pelele, 1792) fatto saltellare su un lenzuolo sorretto da contadinelle durante una festa paesana.
Ho riproposto queste immagini nelle scene per queste Nozze di Figaro: il loro mondo si trasforma continuamente in qualcosa d’altro, niente è più quello che sembra: le sagome dei mobili e dello scatolame accatastati nella stanza di Figaro come in una scultura di Louise Nevelson vengono smembrate per trasformarsi in una eterea camera della Contessa fino ad arrivare al gioco degli equivoci e dei nascondimenti in un giardino che reca solo le tracce delle ultime pennellate di un Fragonard diventato Illuminista.
(Lidia Bagnoli)